Essere un buon genitore adottivo significa accompagnare i propri figli verso il futuro, affrontando, se necessario, anche il passato
Lo scorso novembre mi sono recato per lavoro in Cile. Come sempre mi ritaglio qualche mezza giornata per Quinta de Tilcoco e i bambini del hogar. Incontro così anche alcuni amici operatori con i quali è rimasta una sincera amicizia dopo l’esperienza dell’adozione delle nostre due figlie, Ester e Hermida, otto anni fa.
Da alcuni mesi la maggiore – allora sedicenne – era un po’ inquieta per il crescente desiderio di conoscere meglio il suo passato. Decido di parlarne all’assistente sociale dell’istituto, Jaime, e di chiedergli consiglio. Subito mi offre la sua disponibilità per fare una piccola ricerca familiare, come spesso è avvenuto per altri ragazzi.
In cuor mio mi chiedevo se fosse sensato, un po’ temevo di dover affrontare situazioni d’incertezza. Pensavo a come mia figlia più grande e poi la piccolina potessero affrontare notizie che riaprissero un passato sconosciuto o inconsciamente conservato in qualche vaga immagine di ricordi lontani e a cosa avremmo provato io e mia moglie. Però sentivo naturale di non dover calcolare troppo.
A fine aprile torno nuovamente in Cile, questa volta accompagnato dalla mia Ester che dopo alcuni mesi d’insistenza e di trepidante attesa mi convince – anche grazie all’impegno mostrato a scuola – a portarla con me. A Quinta de Tilcoco trova il modo di approfondire con Jaime alcuni particolari del passato suo e di sua sorella e soprattutto apprende notizie non negative sulla mamma biologica. Jaime l’aveva incontrata ed aveva conosciuto con lei il loro fratellino di sei/sette anni che non sapevano di avere.
L’amico Jaime ci consiglia di organizzare un incontro da lì a qualche anno, in modo da prepararci adeguatamente. Nel frattempo ci avrebbe fatto avere qualche fotografia. Noi avremmo potuto fare altrettanto scrivendo anche qualcosa. Quando Ester accenna a questo possibile futuro incontro, il suo desiderio è che lo affrontiamo tutti e quattro assieme, come famiglia.
Un mese e mezzo più tardi ricevo una mail da Jaime con alcune foto della madre biologica e del fratellino; esito qualche istante ma subito dopo le giro a casa ed avviso per telefono mia figlia. Ester, dopo aver condiviso e commentato le sue emozioni con mia moglie, ha stampato queste foto e con Hermida le ha mostrate ai nonni e poi le ha messe insieme ad altre sulla mensola della cameretta.
Al convegno successivo delle Famiglie pro ICYC, Jaime mi ha consegnato una letterina per le mie figlie, scritta dalla loro madre biologica. Senza esitare chiamo la maggiore per avvisarla. Al mio ritorno la legge subito condividendo con noi le sue emozioni. Con parole molto semplici nella lettera la madre racconta loro di zie e zii, della sorella maggiore e del nipotino, del fratellino.
Mi rendo conto che tutto questo può sembrare un po’ strano, lo capisco dalle reazioni stupite di alcuni quando lo raccontiamo. Credo, però, che ciò avvenga perché quando c’è di mezzo l’adozione sembra dover esserci qualcosa da superare e da dimenticare. Penso, invece che sarebbe del tutto irragionevole pensare ed amare le mie figlie senza tener conto di tutti i fattori della loro realtà, comprese le loro origini e le persone che le hanno generate. E questo senza che venga meno la certezza del nostro rapporto che si è costruito negli anni, con la convivenza e la condivisione della vita, e dell’amore profondo che sempre ci legherà, qualunque siano le strade che prenderemo e prenderanno.
Roberto