Montesilvano (PE) 2012
Alessia Carleschi, Giuditta Borghetti, Simona Felicetti
Psicologhe, operatrici dell’Ente Famiglie Adottive Pro Icyc
Il tempo, l’attesa e la transizione sono termini che rinviano a un “processo” che si attua nello spazio relazionale della coppia-famiglia, secondo ritmi e cadenze che hanno conosciuto in questi ultimi decenni fasi di rallentamento e dilatazione burocratici.
Nuovi ritmi che ci dicono che socialmente alcune transizioni, quali l’arrivo di un figlio, sia naturale che adottivo, avvengono in momenti della vita di coppia diversi, rispetto ai “calendari” seguiti dalle generazioni che ci hanno preceduto, scandendo diversamente le biografie dei singoli, determinando un profondo mutamento del sistema delle aspettative che ruota intorno alla “genitorialità” e del profilo delle famiglie italiane.
In particolare, la famiglia adottiva ha un suo particolare ciclo di vita, in cui: la scelta, l’attesa, la preparazione, l’arrivo, l’adattamento, l’inserimento scolastico, l’elaborazione della differenza, le domande sulle origini, l’adolescenza, costituiscono momenti di possibile crisi ma anche di crescita, cambiamento e maturazione per tutti i membri del nuovo contesto.
“Calandoci” nello specifico, “La storia siamo noi”, questo il titolo del convegno annuale dell’Ente Pro-I.c.y.c, ma cos’è realmente la “Storia”? Etimologicamente si riferisce ad una “conoscenza acquisita tramite indagine e ricerca”, ma molto più in concreto rappresenta la produzione e la concatenazione di eventi, che hanno un potenziale trasformativo e che ci introducono al futuro.
In generale è uno schema temporale che connette passato, presente e futuro, attraverso la dimensione della narrazione (Wikipedia). Ognuno di noi è portatore di una sua storia, di una sua narrazione individuale, famigliare e sociale, la specificità e la sfida del percorso adottivo stanno proprio qui, nell’integrazione di differenti storie famigliari, di cui almeno una, quella del bambino, ha subito una “cesura” sul piano relazionale.
In questa dimensione è importante riflettere su come i protagonisti, coppia e bambino, arrivino a quel momento tanto desiderato e tanto temuto che è l’incontro.
L’incontro anelato è anche uno dei momenti più delicati del percorso adottivo: i progetti, le fantasie, i sogni che hanno riempito l’attesa devono lasciare il posto ad una realtà condivisa.
La coppia si trova davanti un bambino reale, con precise caratteristiche fisiche, emotive e di personalità, con la sua storia, i suoi ricordi, le sue esigenze, i suoi desideri e bisogni.
Per questo è un momento che richiede riflessione e preparazione, perché ha in sé le potenzialità per la costruzione di legami positivi e per il riconoscimento reciproco di sé come genitori e del bambino come “figlio”.
Ma prima di arrivare all’incontro, c’è il lungo periodo dell’attesa, una sorta di “gestazione adottiva”.
Durante questo periodo la coppia può avere tante emozioni, dubbi, sogni ed immagini; i pensieri riguardano per lo più il ruolo di genitore, la relazione con il proprio partner come madre e padre, il rapporto con il bambino e solo piano piano emerge l’immagine del “proprio figlio”, che si concretizza in termini di desiderio, con precise caratteristiche fisiche e di personalità.
Questa immagine è inevitabile ed utile, in quanto prepara ciascun individuo ad affrontare la situazione ed a prepararsi a diverse possibilità, ma se non viene recuperata ed elaborata insieme rischia di diventare un termine di paragone costante e rigido per il bambino adottato e ciò limiterebbe la propria capacità di accoglierlo nelle sue reali caratteristiche e specificità.
Il percorso che ciascuna coppia fa prima di arrivare a questa fase è abbastanza “lungo”, la coppia arriva a formulare la domanda di adozione dopo un periodo burocratico che spesso acuisce l’attesa, in cui si sono susseguiti eventi, percorsi, spesso dolorosi, che hanno richiesto ad entrambi i coniugi riflessione ed elaborazione.
La domanda di adozione si deve trasformare, poco a poco, nella disponibilità ad accogliere un bambino; la domanda di per sé è una richiesta già definita, completa, mentre la disponibilità si pone come una condizione di apertura verso un’esperienza che può essere rivisitata, rielaborata nel tempo, lungo tutto il cammino che entrambi i “genitori” potranno affrontare con il bambino atteso. (L. Paradiso, 1999)
In questo passaggio, un ruolo determinante lo svolge l’attesa, in tutte le sue fasi: l’attesa dell’idoneità, l’attesa dell’abbinamento, l’attesa dell’incontro, … l’attesa del legame.
L’attesa rappresenta dunque una fase difficile e complessa del percorso adottivo, una fase, però, che se opportunamente condotta può offrire delle utili opportunità di crescita per tutti i protagonisti dell’esperienza.
Indubbiamente non possiamo dimenticare che la fase dell’attesa rappresenta una tappa nuova che richiede ancora di essere conosciuta approfonditamente e, soprattutto, richiede di sperimentare modalità di lavoro e forme di integrazione tra i diversi attori.
L’esperienza di sostegno e di condivisione elaborata ed organizzata dall’Equipe degli operatori dell’Ente Pro-Icyc. rappresenta una tappa fondamentale in questa direzione e ha permesso di evidenziare con chiarezza che vi è la possibilità di lavorare proficuamente ed insieme ai futuri genitori. Per fare ciò è necessario che sia condiviso l’assunto che l’attesa costituisce, nel percorso della coppia verso l’incontro con il figlio adottivo, un tempo estremamente significativo che non può essere trascurato.
Non vi è dubbio che trovarsi ad attendere per due, tre o più anni, per poter finalmente incontrare il figlio tanto desiderato, costituisce una realtà faticosa e stressante per gli aspiranti genitori adottivi.
È facile capirlo soprattutto se si tiene conto del fatto che essa va ad aggiungersi a un percorso già irto di stress, quali quelle che, solitamente, contraddistinguono il cammino compiuto dalle coppie che desiderano adottare. Ci troviamo, quindi, con un “imprevisto” che genera ulteriori difficoltà a un cammino strutturalmente complesso.
Pur considerando innegabile tale dato, come sottolinea anche Chistolini, è importante considerare questa dimensione “critica” anche come “opportunità” di migliorare il percorso della coppia candidata verso l’adozione.
Entrambe queste dimensioni, quella delle criticità e quella delle opportunità, richiedono lo sviluppo di un pensiero che dia loro significato e che aiuti a formulare pensieri positivi per l’attesa rendendo questa fase ricca di emozioni riconosciute. Per fare questo è importante aver chiaro quali variabili caratterizzano il tempo dell’attesa, quali tra di esse sono da contenere e quali da potenziare.
Questo tempo, carico di ambivalenza e sentimenti contrastanti, può quindi rappresentare una fondamentale occasione di crescita per la coppia, rielaborando la propria scelta favorendo una graduale costruzione della propria identità genitoriale e dell’immaginario relativo al figlio che arriverà.
In questo scenario complesso si comprende come il momento dell’attesa è forse quello più difficile da elaborare perché c’è un terzo, il bambino, il “vostro bambino”, che non è presente ma solo immaginato, nel tempo dell’abbinamento “visto in foto”, di cui si hanno poche informazioni e su cui si fantastica. Per questo interrogarsi “prima ed insieme”, significa fare di questo tempo non uno spazio vuoto bensì riempito di riflessioni, di scambi e di esperienze, di positività trasformandolo in maniera propositiva in un tempo di “speranza” condivisa.
Uno dei compiti specifici dei genitori adottivi è quello di saper narrare al bambino che arriverà la sua storia, ma è necessario che questi siano in grado di raccontarsi per prima cosa il proprio passato. È indispensabile che essi si sentano legittimati a essere davvero genitori, grazie anche all’acquisizione di un ruolo non più di figli all’interno della propria famiglia di origine e ciò comporta l’accettazione di un paradosso: sentirsi genitori di un figlio che non è biologicamente figlio proprio. Vi è da dire che la legittimazione non è solo interna, ma anche sociale.
Il percorso adottivo è, infatti, sottoposto all’attenzione pubblica, che assegna l’approvazione e il titolo di genitori attraverso il giudizio del tribunale. Essere un “genitore legittimato” significa essere perciò riconosciuto come tale dalla società (Tamanza, Montanari, Fumi, 2006). L’accettazione a livello profondo del fatto che il bambino non sia stato procreato dai genitori adottivi, unita alla depurazione dei fantasmi legati al passato del figlio e ai genitori naturali, permetterà una narrazione coerente della sua storia all’interno di “quella specifica famiglia”. Dichiarare la propria disponibilità ad accogliere un bambino in adozione come figlio legittimo comporta riceverne e tollerarne il bagaglio di storia che si porta dietro, che sarà possibile integrare solo attraverso un lavoro di elaborazione profonda che si dovrà misurare con i percorsi della memoria e con il desiderio e storia del bambino.
Per questo, ci si può chiedere, cosa ha suscitato per ciascuno “l’attesa”? Come spostare l’ottica dal desiderio di avere …. al desiderio di accogliere?
Si potrebbe concludere che l’Adozione diventa una bella “Storia” se si è in grado di costruire un Progetto Condiviso affinché realmente si possa diventare “una Famiglia per il bambino” e non “un bambino per la famiglia”.
Queste ultime considerazioni indicano che il ruolo di futuro “genitore”, diventa una risorsa capace di coordinare e armonizzare un intervento educativo congiunto spesso complesso, perché di per sé implica la capacità non solo di contenere le emozioni e le ansie di un figlio, ma anche estremamente importante perché ciascun genitore può saperlo pensare nella propria mente come una persona con propri pensieri, emozioni, per questo diventa una possibilità “trasformativa” importante per rileggere la propria storia personale, attingendo al repertorio dei ricordi e delle proprie esperienze.