Trevi (PG) 2009
Giuditta Borghetti
Psicologa, psicoterapeuta, operatrice dell’ente Famiglie Adottive Pro Icyc
“Adozione…e poi?” In realtà l’adozione è un progetto in divenire, quindi più che parlare di post-adozione, preferisco parlare di momenti diversi di un unico grande percorso, di un cammino, il cui filo conduttore è la costruzione di nuovi legami affettivi.
Tale percorso inizia nella “mente” di due persone, di una coppia e nella loro voglia di genitorialità e si concretizza nell’incontro con “quel” bambino o “quella” bambina ed è qui che ha inizio il “poi”. L’incontro è un momento estremamente delicato nel cammino dell’adozione E’ il momento in cui la realtà, fatta di sensazioni ed emozioni prende il posto delle fantasie, dei sogni, delle aspettative e raccoglie in sé le potenzialità per un positivo attaccamento e per il riconoscimento reciproco, di sé come genitori e del bambino come figlio. E’ bene, però, tenere a mente che conoscenza non equivale ad attaccamento; non sono sufficienti la voglia, il bisogno dell’altro per percepirsi autenticamente e profondamente genitore e figlio, ma l’attaccamento è un processo che, in tutte le sue fasi necessita di gradualità, intesa come un tempo adeguato di transizione per ogni cambiamento, (ad es. la diversità delle abitudini di vita dall’istituto alla nuova famiglia) e continuità, intesa come la possibilità di costruire “ponti” fra il vissuto precedente e quello futuro. La coppia ed il bambino vivono questa fase in modo molto diverso ed avere questo ben presente può aiutare i genitori a costruire le basi per un buon attaccamento.
I genitori arrivano all’incontro con il bambino dopo un lungo percorso di elaborazione, riflessione, che li ha portati ad una scelta consapevole; provano paura ed incertezza, ma soprattutto gioia e spesso, dopo tanta attesa, sentono un forte bisogno di “normalità”, di iniziare questa nuova vita insieme. Questo bisogno, comprensibile e legittimo, ha in sé però un rischio grande, quello di non rispettare i tempi del bambino, che al contrario ha bisogno di gradualità e continuità. In questo momento il bambino ha davanti a sé un compito estremamente complesso, deve separasi da ciò che è familiare e quindi rassicurante ed adattarsi a nuove figure di riferimento; è dominato dall’ambivalenza perché da una parte sente il desiderio e l’interesse verso di lui, ma dall’altra deve abbandonare ciò che è noto per qualcosa di sconosciuto e si sa che anche le situazioni più difficili e deprivanti innescano meccanismi di sicurezza, proprio in quanto situazioni conosciute.
E’ fondamentale, quindi, che i genitori sostengano il bambino in questo processo di separazione e per fare ciò può essere utile raccogliere più informazioni possibili, sulla sua vita di “prima”, sull’Istituto, informazioni che possano aiutarlo a costruire ricordi e facilitino un racconto realistico dell’incontro. (L. Paradiso, 1999).
L’arrivo del bambino comporta, inevitabilmente una nuova organizzazione della famiglia e dà l’avvio ad una fase estremamente complessa del percorso: quella dell’inserimento.
I genitori devono fare i conti con la perdita della dimensione di coppia, con una riorganizzazione dei propri tempi e spazi ed al contempo devono confrontarsi con la gestione del nuovo ruolo, quello di genitore. Il bambino, oltre a vivere una fase di grande disorientamento, in quanto sono cambiati tutti i suoi riferimenti, esprime, più con il comportamento che con il linguaggio, il bisogno di sentirsi ascoltato ed accolto nelle sue difficoltà. Diventa fondamentale, quindi, per i genitori, soprattutto in questa fase, chiedersi sempre cosa ci sia dietro un determinato comportamento, aiutarlo a sperimentare relazioni “esclusive” con le figure di attaccamento, per aiutarlo nella costruzione di quel senso di fiducia che sta alla base di un buon legame di attaccamento.
La nuova famiglia adottiva si trova, quindi, a dover fare i conti con due ordini diversi di “compiti”. Da una parte i normali “compiti evolutivi” di ogni famiglia, biologica od adottiva che sia; dall’altra ha di fronte compiti specifici, quali: il confronto e la gestione della diversità, l’elaborazione e ricostruzione della storia familiare, (ossia il tema dell’abbandono), il mantenimento della continuità nella discontinuità. (M. Chistolini, 2003)
Nella storia della famiglia adottiva questi due ordini diversi di compiti saranno più o meno in primo piano a seconda dei momenti e delle “fasi” di vita della famiglia stessa, come in un gioco percettivo di “figura-sfondo”, per il quale talvolta in primo piano sarà la parola “famiglia” e quindi la quotidianità e i “compiti” di tutte le famiglie; talvolta invece ad essere in primo piano sarà la parola “adottiva”, con il portato di complessità e ricchezza che questo vuol dire.
Parlare di famiglia adottiva significa, inevitabilmente, fare i conti con la dimensione della diversità, che si declina in tanti aspetti diversi, (diversità di origine, somatica, etnica, culturale) ed il contesto relazionale della famiglia si gioca proprio sull’integrazione di tali diversità. (L. Paradiso, 1999)
Compito fondamentale di tutti i genitori, ed in particolare dei genitori adottivi è quello di trasmettere tranquillità in relazione alla diversità, attraverso, ad esempio, l’accoglienza e l’attribuzione di stima e valore delle parti percepite come “diverse” dal bambino, perché per ogni
bambino l’accettazione delle caratteristiche personali è data dal confronto con gli altri e dai rimandi che adulti e “pari” danno.
Sul piano della relazione, quando le nostre diversità sono rifiutate, evitate, dall’altro “significativo” si attua il meccanismo dell’assimilazione (“…se vuoi essere amato devi essere uguale a me”), che genera, inevitabilmente il conflitto. Quando, invece, le diversità sono eccessivamente rimarcate si attua il meccanismo dell’estraniazione, (“…sei troppo diverso da, me, non ti riconosco”), che produce isolamento. Al contrario, riconoscere le diversità dell’altro, accoglierle, rispettarle e renderle un elemento della storia familiare, produce integrazione. (L. Paradiso, 1999)
La diversità con cui, inevitabilmente e necessariamente ogni famiglia adottiva dovrà fare i conti è la diversità di origine; adozione è, infatti, l’incontro di storie iniziate in contesti relazionali, sociali, culturali differenti ed inoltre, il bambino avrà sempre dentro di sé una doppia appartenenza: quella biologica e quella adottiva. (L. Paradiso, 1999)
L’integrazione di queste due appartenenze è condizione fondamentale affinché il bambino possa provare a dare un senso a quanto accaduto, possa confrontarsi con la sua storia e quindi riesca a costruire un senso del Sé, che sia integrato e non frammentario. Per fare ciò è necessario che abbia accesso alla sua storia, che significa avere accesso a quella verità “narrabile”, (D. Guidi, 1997), o ancora meglio a quella verità “sostanziale”, (M. Chistolini), che chiarisca al bambino che chi aveva titolo per occuparsi di lui, i suoi genitori biologici, non lo ha fatto perché non aveva quella stabilità psicologica, quelle risorse emotive, affettive ed educative necessarie per farlo e ciò dipende dal contesto in cui si è cresciuti, dalle esperienze che si sono fatte, dai vissuti che si hanno. (M. Chistolini, 2003)
Capire, per il bambino è più importante di sapere, le informazioni sono importanti, ma non sufficienti, ciò che conta è la possibilità di elaborare sia cognitivamente, che affettivamente, la propria storia, il proprio vissuto e compito dei genitori è quello di stare accanto al proprio figlio in questo processo, non solo come spettatori passivi, ma stimolandolo, seppur con sensibilità e cautela, a riflettere. (M. Chistolini, 2003)
Bibliografia
Chistolini M., (1999), “Meglio non avere fretta”, in L’Albero Verde, CIAI, Milano.
Chistolini M., (a cura di) (2006), “Scuola e Adozione. Linee guida e strumenti per operatori, insegnanti, genitori”, FrancoAngeli, Milano
Chistolini M., (2003), “Le informazioni nell’adozione”, Minorigiustizia, n. 3, 2003
Paradiso L., (1999), “Prepararsi all’adozione. Le Informazioni, le leggi, il percorso formativo personale e di coppia per adottare un bambino”, edizione UNCOPLI Minori, Milano.